GLI UOMINI DELLA RSI
A 50 ANNI DALL’ASSASSINIO Ricordo di Gentile
Claudio e Daniela Ferrari
II filosofo Giovanni
Gentile nacque, il 30 maggio 1875, a Castelvetrano (TP). Nel novembre 1893
entrò alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si appassionò
alle lezioni di filosofia tenute dal professor Jaja che lo introdusse allo
studio della filosofia kantiana ed hegeliana. Nello stesso periodo si interessò
anche allo studio del pensiero italiano durante il Risorgimento.
Conseguì la laurea
nel 1897 con una tesi su Rosmini e Gioberti, pubblicata l'anno dopo.
Sempre nel 1897 frequentò
un corso di perfezionamento in filosofia e il 1° novembre 1898 intraprese
l'insegnamento nel Liceo di Campobasso.
Nel 1899 pubblicò "La
filosofia di Marx" e nel 1900 il suo primo lavoro pedagogico "L'Insegnamento
della filosofia nei licei".
Agli albori del secolo strinse
contatti di studio col filosofo Benedetto Croce, contatti che culminarono
nei saggi pubblicati da entrambi sulla rivista "La critica".
Croce si interessava a un programma di rilettura della cultura italiana
dal punto di vista letterario, Gentile invece approfondiva il punto di
vista filosofico con lavori molto importanti quali “Le origini della filosofia
contemporanea in Italia", "La rinascita dell'idealismo"
e "La filosofia".
Nel 1906, all'Università
palermitana occupava la cattedra di storia della filosofia e contemporaneamente
scriveva "L'atto del pensare come atto puro". Mentre stava per
concludere il suo soggiorno a Palermo, nel 1913, sulle pagine della rivista
fiorentina "La voce" compariva la prima differenziazione pubblica
della sua filosofia da quella di Croce.
Nel novembre 1914, venne chiamato
a Pisa per succedere al suo maestro Jaja nella cattedra di filosofia teoretica.
Nei due anni successivi, sempre a Pisa, insegnò anche filosofia
del diritto.
In questo periodo di intenso
impegno per Gentile l'attualismo gentiliano ricevette una definitiva formulazione
con "La teoria generale dello spirito come atto puro" e con "I
fondamenti della filosofia del diritto".
Nel 1918, infine, ordinario
di Storia della filosofia all'Università di Roma.
Dal 1914 al 1918 Gentile fu
convinto interventista e alla fine della guerra raccolse in due volumi
- intitolati rispettivamente "Guerra e fede" (1919) e "Dopo
la Vittoria" (1920) - gran parte degli articoli scritti durante il
conflitto.
Ministro dell'lstruzione nel
primo governo Mussolini (ottobre 1922 - giugno 1924), attuò una
radicale riforma della scuola italiana, dall'asilo all'università.
Senatore nel 1922, nel maggio
successivo si iscrisse al Partito Nazionale Fascista e divenne membro del
Gran Consiglio del Fascismo.
Nel 1925 fondò l'lstituto
Fascista di Cultura e il 21 aprile dello stesso anno scrisse "Il Manifesto
degli intellettuali italiani fascisti", che provocò la rottura
definitiva con Benedetto Croce. II "Manifesto" recava firme illustri
tra cui quelle di Soffici, Pizzetti, Pirandello, Volpe, Corradini, Di Giacomo,
Malaparte e tanti altri.
Voluto da Gentile, il "Manifesto"
diede al Fascismo un notevole apporto di fede e di coerenza rappresentando
anche una testimonianza di affetto verso il Duce, che si stava risollevando
dalla crisi provocata dall'affare Matteotti. Molti fascisti “tiepidi"
avevano abbandonato Mussolini dopo il giugno 1924, ma non così fu
per Gentile il quale più che mai si schierò accanto al Capo
del Governo chiamando attorno a lui le forze più sane della Nazione.
Per meglio capire l'importanza
del consenso al regime, negli anni successivi e aurei del Fascismo, non
va trascurato il filone gentiliano, che intendeva il fenomeno fascista
come compimento del Risorgimento, continuazione di Mazzini e Gioberti,
ma anche dell'opera di Garibaldi e di Crispi. Lo riconobbe - nel 1939 -
anche Mussolini, che disse: "Gentile preparò la strada di chi
- come me - avesse desiderato camminare su di essa".
Dal 1925 e fino all'anno della
sua morte, Gentile ebbe la dilezione scientifica della ''Enciclopedia italiana'',
alla cui realizzazione chiamò a collaborare intellettuali italiani
di valore, al di fuori di ogni idea politica e nel pieno rispetto del loro
lavoro.
Dal 1928 al 1943 riorganizzò
e potenziò la Scuola Normale di Pisa, arricchendone la biblioteca
e tutte le altre vitali strutture.
Nel momento della crisi della
Patria, in un nobile discorso tenuto in Campidoglio - il 24 giugno 1943
- esortò gli italiani al dovere risorgimentale di difendere l’”Italia
grande e immortale". Un discorso ispirato a grande amore per la Patria
e sincera devozione per Mussolini.
Quando, dopo la bufera dell'8
settembre 1943, Mussolini fondò la Repubblica Sociale Italiana egli
inviò Carlo Alberto Biggini, neo-ministro dell'Educazione nazionale,
ad offrire al filosofo la Presidenza dell'Accademia d'ltalia e Gentile
non esitò un solo istante "perché - disse - non accettare
sarebbe stata suprema vigliaccheria e demolizione di tutta la mia vita”.
Nell'elogio funebre in memoria
del filosofo Biggini tra l'altro ricordò "Quando ebbe il suo
primo incontro col Duce, dopo la sua liberazione, uscì dal colloquio
con le lacrime agli occhi e profondamente commosso mi disse “O l'Italia
si salva con Lui, oppure è perduta per qualche secolo”.
Nel discorso tenuto il 19
marzo 1944, inaugurando l'Accademia d'ltalia, in Firenze, Giovanni Gentile
disse che quando la voce di Mussolini riecheggiò restituiva un capo
alla "moltitudine dispersa e la richiamava alla riscossa". Aggiunse
che con Mussolini "era risorta l’Italia giovane, leale, generosa ...
e che la voce del Duce non si era spenta perché era quella la voce
della Patria immortale".
Giovanni Gentile venne ucciso
a Firenze, il 15 aprile 1944, davanti al cancello di Villa Montalto dove
abitava. Quattro giovani “gappisti" in bicicletta avevano atteso il
suo rientro dall'ufficio di presidente dell'Accademia d'ltalia. Due “gappisti"
si avvicinarono all'automobile ferma davanti al cancello e uno di essi,
Bruno Fanciullacci, si accostò alla vettura e chiese “E' lei il
professor Gentile?". "Sì" rispose il filosofo e non
fece in tempo ad aggiungere altro perché abbattuto a colpi di pistola.
Il suo assassino era un partigiano
originario di Pieve a Nievole, in provincia di Pistoia. Da bambino si era
trasferito a Firenze al seguito della famiglia. Nel 1938 era stato incarcerato
per propaganda sovversiva. In carcere aveva aderito al Partito Comunista
clandestino. Scarcerato il 12 luglio 1943, dopo l'8 settembre militò
nei Gap (Gruppi azione partigiana) fiorentini. Arrestato, venne ucciso
nel luglio 1944 mentre tentava di fuggire.
L'assassinio, infame e inutile,
del più grande filosofo italiano venne deciso e ordinato dal CLN
(Comitato di liberazione nazionale) e sicuramente non fu - come tentarono
poi di sostenere - un'iniziativa isolata. II peso di questo inutile delitto
generò un ridicolo palleggio di responsabilità in seno allo
stesso CLN. Si tentò di addossare la responsabilità intera
del misfatto ai comunisti, ma tutti i partiti che componevano il CLN erano
coinvolti. Togliatti fece scrivere un articolo al latinista Concetto Marchesi
sul foglio clandestino "La lotta", in cui - esaltando l'omicidio
del filosofo - si diceva tra l'altro "... Per i manutengoli del tedesco
invasore la giustizia del popolo ha emesso la sua sentenza: morte!".
Giovanni Gentile ebbe solenni
onoranze funebri in Santa Croce, a Firenze, dove per ordine di Mussolini
- venne sepolto nella cappella a sinistra dell'altar maggiore.
Ed ecco, a conclusione di
questo ricordo del filosofo, anche le parole di Carlo Alberto Biggini:
"La sua fedeltà egli l'ha consacrata col sangue: alla gloria
delle opere ha aggiunto la palma del martirio. L’Italia immortale, da lui
invocata e fatta presente a tutti i cuori nelle ore della prova e della
tribolazione, lo accoglie nel cielo degli eroi.
“Il Fascismo, ch'egli intese
nel suo spirito più profondo e amò nella persona del suo
creatore facendo fino all'ultimo momento professione aperta della sua fede,
lo iscrive fra i suoi martiri”.
VOLONTA’ N. 6-7 1994 (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)